Perdonami Juan Carlos, ma pur condividendo la critica al movimento del software libero [1], alla luce degli scarsi risultati ottenuti dall'approccio non-violento di Monitora PA, non mi è chiaro come affidarsi allo Stato possa funzionare.
Certamente, uno dei limiti del movimento del software libero è stato adottare un approccio etico (e dunque necessariamente individuale) invece che politico e collettivo. Come rilevi, tale approccio affonda le proprie radici nelle condizioni storiche da cui il movimento è nato (fondato da uno statunitense cresciuto nella retorica della guerra fretta) e si è diffuso ("caccia alle streghe" contro gli hacker politicamente attivi degli anni 80-90). Al software libero è stato permesso di crescere proprio perché predicava un approccio inoffensivo, contrapponibile agli hacker che usavano le proprie competenze per evidenziare le vulnerabilità del capitalismo e per destabilizzarlo: una sorta di luddisti estremamente efficaci che andavano urgentemente criminalizzati ed arrestati. In quest'ottica, RMS non è stato un rivoluzionario, ma una involontaria stampella del sistema oppressivo che altri hacker avevano iniziato a sfidare in modo nuovo e letteralmente rivoluzionario. Stampella sfruttata da quel sistema per creare l'infrastruttura oppressiva che oggi ci circonda, ma al contempo marginalizzata tramite l'invenzione dell'open source, che rinunciava ANCHE all'etica del software libero, per integrarsi pienamente nei sistemi di controllo o produzione tipici del capitalismo, finalmente esportabili anche fuori dalla fabbrica e dagli uffici, fino ad invadere il tempo libero degli sviluppatori ed infine l'intimità di tutti gli altri che da cittadini si ritrovano ridotti ad utenti (ovvero ingranaggi alienati, inconsapevoli della propria autonomia e spesso incapaci di distinguere sé stessi da parodie dell'intelligenza). Tuttavia, pur condividendo la critica, non posso fare a meno di notare una contraddizione, nella tua proposta, acutamente sottolineata da Stefano Quintarelli con alcune domande che non hanno ottenuto risposta. Scrivi infatti: > Occorre, invece, puntare su azioni collettive per chiedere che sia lo > Stato (che il movimento del software libero, col suo orientamento > ideologico anarchico, vede con sospetto, se non con ostilità) a, in > alcuni casi, intervenire direttamente (andando contro l'ideologia > neoliberale di questi ultimi 45 anni) e, più in generale, a fare > regole molto più stringenti. Chiedeva Stefano > valgono art. 68 e art. 69 del CAD > > se non rispettato, c'e' sempre la corte dei conti che per carità, sotto sotto è la solita risposta liberale, per cui quando il mercato non funziona è sempre colpa dello Stato, che non interviene abbastanza o che interviene troppo. [2] Tuttavia, proprio alla luce della storia del software libero, l'obiezione merita maggior riflessione. Lo Stato (in senso lato) stabilisce Leggi (CAD, GDPR, Costituzione) che sistematicamente viola impunemente. Questa, credo possiamo concordare, è una constatazione di fatto, un'osservazione oggettiva che non possiamo ignorare riconducendola all'orientamento ideologico del software libero. Google e Microsoft nelle scuole, nelle ASL e negli ospedali, in palese violazione delle norme menzionate (incluse quelle costituzionali), ora come dopo la Schrems I e la Schrems II, nel silenzio complice del "Garante per la Privacy" e dell'Agid costituiscono esempi evidenti di questa incoerenza dello Stato. Se lo Stato non rispetta le sue proprie Leggi, a che scopo battersi collettivamente per regole più stringenti che tanto verrebbero violate impunemente? La domanda, purtroppo, non è retorica. Anche volendo scartare ipotesi violente, il cambio di paradigma in corso impatta drammaticamente non solo il mercato, ma anche lo stato, sterilizzando qualsiasi forma di resistenza civile che si basi su modelli novecenteschi della società. Perché è ridicolo aspettarsi che le scelte etiche di una sparuta minoranza abbiano qualche effetto sociale su larga scala? Analizzandoli da una prospettiva cibernetica è ovvio: ogni scelta individuale ha effetti locali che si propagano lentamente. Le persone sono fisicamente e temporalmente delimitate, provviste di pochi sensori (occhi, orecchie...) e pochi attuatori (gambe, braccia...) tutte entro un paio di metri di distanza. Le scelte etiche dei primi cristiani ebbero effetti politici duraturi perché si sviluppavano entro un sistema cibernetico costituito esclusivamente di altri esseri umani, operanti sulla medesima scala. Bisognava individuarli, catturarli, processarli, ucciderli... Agenti cibernetici come Google, Microsoft etc.. hanno miliardi di sensori ed attuatori sparsi capillarmente su tutto il pianeta. Cellulari, laptop, tablet, iot, server nel cloud... Gli Stati sono potenti rispetto agli individui, ma non possono in alcun modo sperare di competere con tali agenti e sono (temo) inevitabilmente destinati a diventarne estensioni. Dunque se è vero che il movimento del software libero ha urgente bisogno di diventare un movimento politico, difficilmente sarà efficace come tale, se punta ad influenzare Stati impotenti o già asserviti. Dobbiamo certamente adottare un approccio politico e collettivo. Ma temo che urga anche trovare nuovi metodi di lotta politica. Metodi che non assumano necessariamente uno Stato di Diritto, almeno fino a quando non riusciremo a ripristinarlo. Giacomo [1] critica che a mio parere dovrebbe essere molto più articolata e profonda, ma che viene spesso ridotta ad attacchi ad hominem contro Stallman o la FSF perché un'analisi più seria intaccherebbe gli interessi di chi finanzia i critici. [2] e sì, è letteralmente un'assurdità, nel senso che o è una dimostrazione per assurdo che il libero mercato non può funzionare oppure è la dimostrazione empirica che può solo funzionare quando ai liberisti è impedito di influenzare in alcun modo la sua regolamentazione.