Caro Don Luca,
cosa ci scandalizza?
Che il sermone non esca dalla persona che lo pronuncia? Non credo, ci
sono ottimi libri di sermoni nei quali -suppongo- la maggior parte dei
parroci che non si sentono teologi trovano ispirazione e conforto. Il
chat-sermone è probabilmente una summa di tali testi.
Che chi lo pronuncia non può credere? Senza scomodare i protagonisti dei
romanzi di Bernanos, non possiamo entrare nell'intimo dei dubbi di
nessun sacerdote.
Offende la strumentalizzazione e mercificazione della fede dei semplici?
Potrebbero non necessariamente esservi intenti fraudolenti in chi ha
proposto a quella assemblea di assistere a un sermone sintetico. Tante
assemblee sono senza pastore... E comunque, quanti banchi di mercanti
non algoritmici dentro al tempio andrebbero rivoltati?
L'/aliud pro alio/ si chiama in questo caso /precessione del simulacro/,
seguendo Baudrillard: "non una imitazione, non un raddoppiamento,
nemmeno una parodia, ma una sostituzione al reale dei segni del reale []
attraverso un doppio operativo". Una cosa che "funziona come" fino ad un
certo punto, ma non è, e che dimostra prima o poi di non essere.
Trovo francamente sorprendente non tanto che un fedele o un ministro del
culto voglia leggere un sermone artificiale, ma che accetti che questo
accada in una funzione sacra. Testo e contesto sono qui completamente
fuori ordine: come se il sermone facesse l'assemblea e non viceversa. O
sbaglio su quest'ordine?
L'incapacità di discriminare, assieme alla semplice disponibilità di
strumenti per industrializzare la relazione (in questo caso religiosa)
induce ipso facto la sua industrializzazione (o il tentativo di), senza
che questo venga generalmente percepito come una sostituzione disfunzionale.
"Tutto è zuppa", direbbe il Gurdulù di Calvino: soggettivamente non
apprezziamo più la differenza tra una espressione umana di qualsiasi
genere e un prodotto industriale, benché (soprattutto collettivamente e
socialmente) questa differenza c'è eccome! Sulle prospettive specifiche
dell'industrializzazione del sacro, trovo illuminante l'ottimo film
THX1138 (Lucas, 1971), con le cappelle-confessionali che somministrano
calmanti e archiviano/riferiscono al governo i pensieri intimi.
Sul perché attribuiamo natura prodigiosa a questi macchinismi che sono
mistificazioni, trovo un magro conforto dottrinale nella teoria del
feticismo delle merci marxiano.
Una merce, quindi, è una cosa misteriosa semplicemente perché in
essa il carattere sociale
del lavoro degli uomini appare loro come un carattere oggettivo
impresso sul prodotto di
quel lavoro; perché il rapporto dei produttori con la somma totale
del loro lavoro è
presentato loro come una relazione sociale, esistente non tra di
loro, ma tra i prodotti del
loro lavoro: ecco perché i prodotti del lavoro diventano merci. […]
per trovare un'analogia
dobbiamo ricorrere alle regioni avvolte dalla nebbia del mondo
religioso. In quel mondo, le
produzioni del cervello umano appaiono come esseri indipendenti
dotati di vita, ed
entrano in relazione sia tra loro che con la razza umana. Così è nel
mondo delle merci con
i prodotti delle mani degli uomini. Questo lo chiamo il feticismo
che si attacca ai prodotti
del lavoro.
Perciò, ai produttori, i rapporti sociali fra i loro lavori privati
appaiono come quel che
sono, cioè non come rapporti immediatamente sociali fra persone nei
loro lavori
medesimi, ma come rapporti materiali fra persone e rapporti sociali
fra cose. (Marx,
Capitale, 2013, 128)
L'uomo industriale alienato trova appagante la relazione con la merce,
nella quale riconosce meglio il suo simile (parimenti alienato) che in
se stesso.
Per cui il fedele alienato dalla sua stessa parola troverebbe nel
prodotto-sermone il motivo della sua partecipazione assembleare, che
invece dovrebbe trovare origine e senso nel fatto che trovandosi assieme
venga pronunciata una parola come espressione di un altro umano. Si
dovrebbe trattare di un verbo, non di un sostantivo. E' lo stesso vizio
che incontriamo quando si parla di arte algoritmica: siamo così immersi
nel /frame/ epistemologico industriale da pensare a tutto come un
prodotto. E i prodotti tra loro si equivalgono.
A questo punto propongo l'incipit di questa parabola: "Un /robot/
scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo
spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo
morto." Come la facciamo proseguire?
Buona giornata.
Alberto
On 27/06/23 11:31, don Luca Peyron wrote:
Grazie del contributo, credo che ognuno abbia il diritto di trovare
conforto e la propria dimensione spirituale dove ritiene. Davanti ad
un tabernacolo od un albero, pregando ciò che ritiene.
La questione è l'aliud pro alio.
Fare un app che conforta nessun problema, ma usando la persona di
Cristo questo fa problema perchè, alla fine, chi rimane confuso è chi
è confondibile, il fragile ed il debole e questo lo trovo inaccettabile.
Detto malamente: la mia preoccupazione non è perdere adepti, la mia
preoccupazione è che a fare le spese di certe operazioni sia il più
piccolo, in ogni senso, questo mi fa ribollire il sangue.
Per proseguire il discorso, però, lo vorrei fare con persone e non con
macchine, al netto di eventuali ferite dovute ad una minore
performatività del mio interlocutore ;-)
Un caro saluto a tutti
dl
Il giorno mar 27 giu 2023 alle ore 11:23 Fabio Alemagna
<falem...@gmail.com> ha scritto:
Il giorno mar 27 giu 2023 alle ore 11:07 don Luca Peyron
<dluca.universit...@gmail.com> ha scritto:
>
> Questa è davvero pessima dal punto di vista teologico perlomeno.
Ne avevo parlato rispetto all'app di Padre pio sul Sole 24 ore di
qualche tempo fa (non disponibile on line)
>
> Quando l'informativo suscita il performativo raddoppia
l'inganno... e la delusione prima o poi.
Ho chiesto a ChatGPT-4 di aiutarmi a formulare un intervento in questa
discussione, perché non sapevo come mettere nero su bianco certi miei
pensieri senza risultare potenzialmente offensivo.
Di seguito ciò che mi ha suggerito sulla base dei miei input.
___
Buongiorno a tutti, ho letto con interesse gli articoli e gli
interventi che ne sono seguiti. Spero di poter aggiungere un altro
punto di vista a questa discussione stimolante e complessa.
Prima di tutto, voglio ringraziare don Luca Peyron per aver condiviso
la sua posizione. Comprendo e rispetto profondamente il punto di vista
teologico tradizionale che esprime. Tuttavia, mi chiedo se non
potremmo considerare questi sviluppi tecnologici sotto una luce
diversa.
Personalmente, trovo che l'emergere di queste nuove forme di
espressione spirituale rifletta una tendenza umana profonda: il
desiderio di trovare conforto e guida nell'ambito del soprannaturale.
Inoltre, mi sembra che l'uso della tecnologia per facilitare queste
esperienze non sminuisca in nessun modo l'autenticità di tali esigenze
spirituali.
Per quanto riguarda la differenza tra un "vero" dio e un'app, da un
punto di vista epistemologico, mi chiedo se non si tratti
principalmente di una questione di percezione individuale. Se, per
esempio, una persona trova conforto, ispirazione o una guida morale
attraverso un'app basata su un modello di linguaggio di apprendimento
automatico, potrebbe non essere qualcosa di diverso da un altro
individuo che trova le stesse cose attraverso la lettura di un testo
sacro o l'ascolto di un sermone.
Infine, riguardo alla possibilità che Dio possa comunicare attraverso
un'app, non sarebbe questa un'ipotesi teologicamente plausibile, data
l'onnipotenza divinamente attribuita? Sono consapevole che questo è un
territorio delicato e rischioso, e non intendo in alcun modo sminuire
o banalizzare le credenze di chiunque.
Le mie intenzioni sono semplicemente di aprire un dialogo e di cercare
una comprensione più profonda di come la tecnologia può influenzare e
arricchire le nostre esperienze spirituali in questo mondo sempre più
interconnesso. Ancora una volta, apprezzo l'opportunità di partecipare
a questa discussione e sono aperto a qualsiasi feedback o riflessione
che possa emergere.
--
_________________________
don Luca Peyron
Direttore Ufficio per la Pastorale Universitaria
Arcidiocesi di Torino
www.universitari.to.it <http://www.universitari.to.it>
via XX settembre 83, Torino
tel. 011 5156239
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