Quest'ultima discussione tra Benedetto Ponti e Carlo Blengino mi sembra centri 
esattamente la sostanza del problema, che avevo anticipato nel mio brevissimo messaggioa 
Nexa "ChatGPT e la stanza cinese" del 17 marzo u.s. 
https://server-nexa.polito.it/pipermail/nexa/2023-March/025111.html
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...ChatGPT esibisce una competenza simile a quella degli esseri umani sul 
livello sintattico ma è lontana anni luce dalla nostra competenza semantica. 
Essa non ha alcuna reale comprensione del significato di ciò che sta facendo.
Purtroppo (e questo è un problema nostro di grande rilevanza sul piano sociale) 
poiché ciò che fa lo esprime in una forma che per noi ha significato, 
proiettiamo su di essa il significato che è in noi.
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Non essendo un giurista non so dire se l'azione del Garante italiano sia 
formalmente corretta: mi sento di poter assolutamente dire, però, che sia 
socialmente desiderabile.

Pur dovendo, pubblico e privato, continuare a fare ricerca in questo settore, 
lasciare una Ferrari in mano ad un ragazzo di 14 anni non è la scelta 
socialmente più desiderabile.

In questo post 
https://www.startmag.it/innovazione/dibattito-intelligenza-artificiale-chatgpt/
ho proposto un esempio un po' più forte (un mini-reattore nucleare casalingo), 
per far riflettere sul punto che mi sembra centrale.

Aggiungo che negli Stati Uniti il Center for AI and Digital Privacy ha fatto 
ricorso alla US Federal Trade Commission sulla base di comportamento 
ingannevole per il consumatore (i riferimenti nel post sopra citato). Anche Al 
Capone fu fermato per evasione fiscale e non per omicidio.

Ciao, Enrico

Il 03/04/2023 18:33, Benedetto Ponti ha scritto:

Il 03/04/2023 17:56, Carlo Blengino ha scritto:
Queste considerazioni non vogliono negare le potenzialità lesive di quei dati sintetici o 
la pericolosità delle macchine che li generano, ma consentono di spostare il focus e 
l’attenzione da quel dato che non "rappresenta" nulla (se non se stesso), 
all'uso che di quell’artefatto sintetico e delle macchine che lo producono ne facciamo 
noi umani.


reagisco "di getto", in particolare perché le considerazioni che fa Carlo 
catturano alcune impressioni che sono rimaste latenti, in questi giorni, ogni volta che 
mi sono affacciato alla questione.

dice Carlo: spostiamo l'attenzione dall'artefatto (che in quanto tale, per definizione e 
per modalità di elaborazione, non può essere rappresentativo di alcunché) all'uso che di 
quell'artefatto ne facciamo "noi umani".

Suggestivo.

Però io devo notare questo: quel linguaggio (se ha senso) ha senso solo per l'umano, e 
quello che producono quelle macchine (quelle pseudo rappresentazioni), è fruibile solo 
dall'umano. [Le macchine, tra loro, comunicano in tutt'altro modo]. Cioè, se anche 
concettualmente la distinzione che Carlo propone è configurabile, essa non ha ricadute 
dal punto di vista pratico, perché quelle macchine sono pensate, programmate e realizzate 
per creare artefatti che siano fruiti da umani (perché solo gli umani possono fruirne, 
solo per loro quei costrutti sono suscettibili di avere un senso). Chi immette la query è 
un umano, ed anche se non lo fosse (se la query fosse formulata da una macchina), la 
"risposta", l'output sarebbe suscettibile di acquistare un senso solo per gli 
umani.

Pertanto,  "l'uso che di quell'artefatto sintetico e delle macchine che lo producono ne facciamo noi 
umani", è l'unico uso possibile, ed è l'uso per il quale quelle macchine sono programmate e realizzate 
(o comunque operano). Se l'uomo è l'unico utente/destinatiario significativo, l'affermazione per cui 
"quel dato [...] non "rappresenta" nulla (se non se stesso)" è - ripeto - suggestiva, ma 
prima di rilievo concreto. L'uomo è l'unico fruitore: l'unico scopo per cui quei dati (quegli output, quei 
costrutti) sono realizzati è proprio quello di delineare una rappresentazione che sia fruibile dall'uomo, che 
abbia senso per l'uomo.

Quindi, no, caro Carlo.
Così, a caldo, mi pare proprio che l'unico senso, l'unico rilievo che possono avere 
quegli output è proprio essere una rappresentazione, un costrutto dotato di un senso per 
l'uomo. Quindi, se contengono dati che per l'uomo che ne fruisce (i.e., l'unico fruitore 
possibile) appaiono come dati personali ("qualsiasi informazione riguardante una 
persona fisica identificata o identificabile"), allora - in termini pratici - non 
possiamo che trattarli come dati personali.

Benedetto Ponti

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Prof. Enrico Nardelli
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Direttore del Laboratorio Nazionale "Informatica e Scuola" del CINI
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