Concordo con molte delle riflessioni, ipotesi e proiezioni del “digitale”
indicate in questo scambio.

Mentre l'espansione della raccolta di dati sta erodendo i valori e i
diritti dell'UE e il digitale ci ruba il tempo in mille micro-faccende,
penso che le recenti raccomandazioni dell’Unione europea per la
cittadinanza digitale e la digitalizzazione tout court definiscono
obiettivi e principi che vanno nella giusta direzione, offrendo un quadro
di riferimento per politici, scienziati, tecnici, educatori ecc., per uno
sviluppo del "digitale che metta al centro l'uomo - EUR-Lex - 52021AE1530 -
EN - EUR-Lex (europa.eu)
<https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=CELEX%3A52021AE1530>.

Quello che intendo aggiungere a questo scambio sono due elementi che credo
siano importanti e specifici per la digitalizzazione (intesa come il
processo che implementa il digitale), rendendola differente da altri/e
cambiamenti/rivoluzioni industriali di cui abbiamo conoscenza.

In primis la scalabilità (intesa come facilità e rapidità di diffusione)
delle soluzioni digitali, che fa sì che un nuovo elemento nel processo
evolutivo possa avere una diffusione immediata ed un impatto sull’uomo su
larga scala. Questo elemento dovrebbe indurre a molto prudenza, prudenza
che nei fatti non si è in grado di garantire visto il regime competitivo e
il valore economico del digitale.

Il secondo elemento è la mancanza di conoscenza e strumenti per garantire
un'adeguata alfabetizzazione digitale. E qui non mi riferisco solo alla
programmazione, che sostituirei con il termine pensiero computazionale, ma
alla capacità di prendere decisioni, acquisire nuove conoscenze,
beneficiare di servizi pubblici, lavorare, ecc. attraverso processi mediati
da algoritmi che contribuiscono in modo determinante alla formazione di
idee, decisioni e cose. E' giusto riconoscere che la trasformazione
digitale offre nuove e potenti soluzioni per migliorare l’accesso e la
personalizzazione dei processi di apprendimento continuo, ma per ora tutto
questo avviene a macchia di leopardo avendo, al momento, un effetto
paradosso su equità, inclusione e qualità dell'informazione.

Il passaggio dal culto del capitale finanziario ed economico a quello umano
sembra un passaggio fondamentale per una "civilizzazione" del mondo
digitale nel quale l'accesso e il fare informazione sia un diritto
universale o per lo meno più ampio di quanto siamo stati capaci di fare
sino ad oggi.

Alessandro

On Thu, 29 Dec 2022 at 12:36, Antonio <anto...@piumarossa.it> wrote:

> > Quello che a mia convinzione è inaccettabile è l’espropriazione -
> > quasi una auto-espropriazione - del “sistema parola” che diventa
> > proprietà di pochi.
> Lapo Berti, una trentina di anni fa, scriveva, a proposito
> dell'informazione:
> "Il modo di produzione immateriale che ha come oggetto
> l'informazione presenta una peculiarità che gli deriva da una
> caratteristica intrinseca dell'informazione, la sua sostanziale
> inappropriabilità, che assume carattere paradossale allorché
> all'informazione
> viene imposta la forma della merce. La merce, infatti, per essere oggetto
> di scambio, deve essere, per definizione, appropriabile.
> Si può tuttavia osservare che in tutte le formazioni sociali note
> l'inappropriabilità di principio dell'informazione, ovvero il fatto che
> essa, una volta prodotta, è liberamente disponibile, ha costituito un
> problema. Ad esso si è di volta in volta tentato di dare risposta
> mediante istituzioni destinate a creare una sorta di appropriabilità
> fittizia escludendo artificialmente dall'accesso all'informazione parti
> più o meno estese della società e affidando, viceversa, la custodia e la
> manipolazione delle informazioni e delle conoscenze a gruppi specifici,
> e privilegiati, di individui socialmente caratterizzati da uno stretto
> rapporto con il potere costituito. Non ci sono differenze sostanziali,
> sotto questo profilo, fra i mandarini della Cina e le moderne comunità
> scientifiche ...
> Nascono e si valorizzano le asimmetrie informative, rese possibili da
> istituzioni sociali o da strategie e comportamenti individuali che
> perseguono l'appropriabilità e l'escludibilità dell'informazione.
> L'informazione diventa bene pubblico, liberamente accessibile, quando
> non ha più valore. L'accesso pieno all'informazione e alla conoscenza
> diventa il discrimine che disegna ineguaglianze e povertà sociali."
>
> Facciamo un passo di trent'anni e sostituiamo /informazione/ con
> /software/.
> Immateriale come l'informazione, facilmente appropriabile nel caso di
> software
> /chiuso/, /proprietario/. Non appropriabile nel software /aperto/ o
> /libero/.
> Il software libero rischia(va) di rendere il /digitale/ bene pubblico.
> Ma "gruppi specifici e privilegiati" hanno trovato il modo di
> riappropriarsi
> della conoscenza, e l'hanno fatto chiudendo il software dentro scatolette
> (smartphone) o dentro "armadi" controllati militarmente (datacenter).
> E così come l'informazione è la materia prima e, al tempo stesso, il
> prodotto
> della conoscenza, il software, una volta chiuso, è diventato /solo/
> prodotto e
> il software come materia prima, solo "proprietà di pochi".
>
> A.
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