Quello che a mia convinzione è inaccettabile è l’espropriazione -
quasi una auto-espropriazione - del “sistema parola” che diventa
proprietà di pochi.
Lapo Berti, una trentina di anni fa, scriveva, a proposito
dell'informazione:
"Il modo di produzione immateriale che ha come oggetto
l'informazione presenta una peculiarità che gli deriva da una
caratteristica intrinseca dell'informazione, la sua sostanziale
inappropriabilità, che assume carattere paradossale allorché
all'informazione
viene imposta la forma della merce. La merce, infatti, per essere oggetto
di scambio, deve essere, per definizione, appropriabile.
Si può tuttavia osservare che in tutte le formazioni sociali note
l'inappropriabilità di principio dell'informazione, ovvero il fatto che
essa, una volta prodotta, è liberamente disponibile, ha costituito un
problema. Ad esso si è di volta in volta tentato di dare risposta
mediante istituzioni destinate a creare una sorta di appropriabilità
fittizia escludendo artificialmente dall'accesso all'informazione parti
più o meno estese della società e affidando, viceversa, la custodia e la
manipolazione delle informazioni e delle conoscenze a gruppi specifici,
e privilegiati, di individui socialmente caratterizzati da uno stretto
rapporto con il potere costituito. Non ci sono differenze sostanziali,
sotto questo profilo, fra i mandarini della Cina e le moderne comunità
scientifiche ...
Nascono e si valorizzano le asimmetrie informative, rese possibili da
istituzioni sociali o da strategie e comportamenti individuali che
perseguono l'appropriabilità e l'escludibilità dell'informazione.
L'informazione diventa bene pubblico, liberamente accessibile, quando
non ha più valore. L'accesso pieno all'informazione e alla conoscenza
diventa il discrimine che disegna ineguaglianze e povertà sociali."
Facciamo un passo di trent'anni e sostituiamo /informazione/ con /software/.
Immateriale come l'informazione, facilmente appropriabile nel caso di
software
/chiuso/, /proprietario/. Non appropriabile nel software /aperto/ o
/libero/.
Il software libero rischia(va) di rendere il /digitale/ bene pubblico.
Ma "gruppi specifici e privilegiati" hanno trovato il modo di riappropriarsi
della conoscenza, e l'hanno fatto chiudendo il software dentro scatolette
(smartphone) o dentro "armadi" controllati militarmente (datacenter).
E così come l'informazione è la materia prima e, al tempo stesso, il
prodotto
della conoscenza, il software, una volta chiuso, è diventato /solo/
prodotto e
il software come materia prima, solo "proprietà di pochi".
A.
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