Il 30 Settembre 2023 00:38:33 UTC, GC F <gcfro...@gmail.com> ha scritto:
> Non capisco il senso di questa risposta quando la questione è tecnica e
> riguarda l'applicazione delle norme...

La cosa, ahimé, non mi sorprende.

La confusione fra norma e programma è "vecchia e stantia" e non sarà facile 
superarla
visto l'investimento emotivo e sociale che milioni di giuristi vi hanno 
dedicato.

Purtroppo in un sistema cibernetico in cui gli esseri unani costituiscono meno 
di un millesimo (e presto, un milionesimo) degli agenti attivi, vedere la 
propria rilevanza 
culturale e politica tranciata nel corso di pochi decenni (dopo millenni di 
status elevato)
dev'essere molto frustrante, per chi ne acquisisca la piena consapevolezza.

Presumere di poter prescindere dalla comprensione della realtà di cui si
tratta, è un comprensibile rifugio.


Le norme si applicano alle persone perché ontologicamente libere di sovvertirle
(quandanche convinte della loro bontà o di essere inermi contro chi le impone).
La loro imposizione segue costi lineari e crescenti, parte dei quali è 
costituita dai redditi 
di avvocati, magistrati e forze dell'ordine.


I programmi vengono eseguiti rigorosamente da macchine deterministiche 
ontologicamente
incapaci di qualsiasi autonomia.
Per potergli attribuire intelligenza dobbiamo ridefinire il concetto di 
"intelligenza" per
prescindere dalla nostra stessa esperienza della stessa.
La loro imposizione alla società cibernetica segue costi decrescenti con la 
loro diffusione,
parte dei quali è costituita dai redditi di chi ne cura il marketing iniziale e 
dei lobbisti che
a vari livelli ne assicurano la penetrazione nei punti chiave della società.


Dovrebbe essere facile intuire perché, in assenza di consapevolezza diffusa, i 
nostri 
discendenti vivranno nella peggiore e più duratura distopia della storia.
Una distopia in cui saranno ridotti a meno di bestiame: ingranaggi sostituibili 
di
macchine che non comprendono controllate dai pochissimi che lo fanno.

Ma si sa, la dissonanza cognitiva fa brutti scherzi.


Torniamo pure però alle quisquiglie su cui ti sei focalizzato:

> sul diritto d'autore, la dicotomia
> idea/espressione e l'applicazione di potenziali eccezioni e limitazioni o
> usi privilegiati in base alla giurisdizione di riferimento.

La domanda di Fabio fonda su presupposti errati, che andavano segnalati.

L'appropriazione di biada per allevare gli unicorni, costituisce reato?

Prima di lanciarsi in disquisizioni accademiche sulla fattispecie del furto di 
biada,
una persona caritatevole dovrebbe segnalare l'inesistenza degli unicorni.

Soprattutto qualora ci siano noti ladri di biada che si giustificano con la 
ricerca 
sull'allevamento degli unicorni e moltissime persone (fra cui anche alcuni 
contadini)
che se la bevono sulla base delle
proprie fantasie infantili!

Per non parlare dei politici (spesso giuristi, mai informatici) che, non avendo 
imparato 
nulla dalla fiaba di Andersen sui vestiti nuovi dell'imperatore, fanno a gara a 
lodare
l'intelligenza delle macchine come all'epoca avrebbero lodato la fattura dei 
vestiti.

Solo per non sembrare stupidi!


Una volta chiarito che i LLM non sono nulla di più che grossi e complessi 
archivi dei testi
utilizzati per programmarli statisticamente, dovrebbe apparire evidente la loro 
natura
di opera derivata da tali testi anche a chi non bastasse l'evidenza che ne 
sputano fuori ampi
estratti (seppur talvolta corrotti dal rumore
necessario a confondere l'utente sulla natura 
del giocattolo elettromeccanico che sta usando).


Insomma, una volta chiarito che i LLM non sono altro che antologie dei testi 
originali, 
il contributo dell'informatico finisce per lasciar decidere ai giuristi se chi 
realizza
antologie di testi autoriali prive di attribuzioni (o, come nel caso di GitHub 
CopyALot
con attribuzioni e licenze errate) sia vincolato dal
diritto d'autore o meno.

In particolare, personalmente, sarei curioso di sapere a che punto i diritti 
inalienabili
dell'autore (quelli che nel diritto europeo l'autore non può cedere) possono 
essere alienati
automaticamente tramite un software.

Perché sapendo scrivere software, sarei ben felice di liberarmi anch'io di 
questa noiosa 
seccatura legale..  ;-)


> In principio, condivido la posizione di Fabio, poichè la teoria generale
> del diritto d'autore vorrebbe che si proteggessero espressioni e non dati o
> informazioni


Ahimé, questa frase evidenzia un'enorme confusione terminologica.


Le informazioni sono esperienze soggettive di pensiero comunicabile.


I dati sono rappresentazioni trasferibili ed interpretabili di informazioni.

Quando tali dati sono emessi da una persona indipendentemente dalla propria 
volontà,
proteggiamo i "dati personali".

Quando tali dati sono espressi volontariamente da una persona come opera 
creativa,
proteggiamo il suo "diritto d'autore".

Quando tali dati sono espressi volontariamente da una persona nel tentativo di 
comunicare
la propria opinione, proteggiamo la libertà d'espressione.

Tali distinzioni emergono chiaramente anche nel diritto seppur non sempre in 
modo coerente.

Ad esempio, l'articolo 19 della Dichiarazione dei Diritti Umani distingue la 
libertà di opinione
(che attiene alle informazioni che costituiscono la mente dell'individuo) dalla 
libertà di
espressione (che riguarda i dati che es-primono tali informazioni)


Dunque il diritto d'autore protegge una paricolare categoria di dati.

Si tratta di una normativa pre-cibernetica, e dunque inevitabilmente messa in 
crisi 
dall'informatica.

Purtuttavia, come spesso accade, una piena comprensione della realtà cui la 
norma
si applica permette di interpretarla in modo attinente alla sua ratio.

Purtroppo è vero anche il contrario: una scarsa comprensione della realtà cui 
una 
normativa si applica conduce inevitabilmente alla violazione della sua ratio e 
dei principi 
su cui la norma si basa.

> Ho pochi dubbi invece che la dottrina del "fair use"
> dovrebbe giustificare gli usi di contenuti protetti in processi di
> machine learning.

Beh... in tal caso credo che potresti aiutare i giudici statunitensi che in 
questi anni
sono stati molro attenti ad evitare di esprimersi a riguardo.

Se non hai dubbi, potresti chiarire i loro!

> Sono però anche d'accordo che un qualche soluzione, forse endogena
> al diritto d'autore, dovrebbe essere proposta per evitare esternalità
> negative rilevanti, anche se forse solo nel breve-medio periodo, sul
> mercato della creatività.

Ohibò: non è blasfemo evocare un deus ex-machina sul mercato? :-D


> Ne parlo in maniera esaustiva qui (anche per rispondere alle molteplici
> domande che questo thread contiene):
> 
> 'Generative AI in Court
> <https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=4558865>' in Nikos
> Koutras and Niloufer Selvadurai (eds), Recreating Creativity, Reinventing
> Inventiveness - International Perspectives on AI and IP Governance
> (Routledge, Forthcoming)

Il fatto che una rivista autorevole pubblichi un articolo dove si inizia con
"In the age of burgeoning AI-driven creativity" e "This product of 'Generative 
AI' is a testament
to AI's creative capabilities." credo evidenzi
diversi problemi culturali e politici di quest'epoca.

Anzitutto nei processi di selezione dei testi da pubblicare: se questo è 
l'esito del processo
di peer review, appare quanto meno comprensibile la ricerca di alternativa
(per quanto ingenua, autolesionista e tecnosoluzionista, quando suggerisce
di affidarla a strumenti software che non farebbero che esacerbare le sue 
storture)


Poi nella formazione dei giuristi che trattano questa materia: è urgente 
introdurre 
corsi di programmazione avanzata nei corsi 
di laurea in giurisprudenza, corredati
da tirocini pluriennali in grado di fornire un esperienza diretta ed 
approfondita 
della realtà di cui si occuperanno.

A valle un una decina di anni di debug e programmazione NESSUNO attribuirebbe
(in buona fede) "creatività" ad un software.

Un articolo scritto dallo stesso autore a valle di una tale formazione, 
potrebbe forse iniziare
con "In the age of statistical programming and software-aided art..." e 
continuare "This output is a testament to human capabilities in the selection, 
extraction and reproduction 
of patterns from all kind of data, and from particular from the creative works 
of artists".

In altri termini, un framework interpretativo attinente alla realtà tecnica 
(invece 
che alla propaganda interessata di un pugno di produttori) avrebbe spazzato via 
diverse 
delle "unprecedented challenges" "the intersection of technology and copyright 
law".


Attenzione: la sfida senza precedenti rimane!

Ma non concerne l'applicabilità delle norme sul copyright bensì l'applicabilità 
della Legge 
a chi controlla la stragrande maggioranza degli agenti cibernetici attivi nella 
società, da parte 
di Stati privi degli strumenti culturali ancor prima che legali per resisterne 
al potere.


> la proposta menzionata sopra invece è qui:
> 
> 'Should We Ban Generative AI, Incentivise it or Make it a Medium for
> Inclusive Creativity?
> <https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=4527461>' in Enrico
> Bonadio and Caterina Sganga (eds), A Research Agenda for EU Copyright Law
> (Edward Elgar, Forthcoming)

Vedi, il problema sta di nuovo nelle assunzioni preliminari tecnicamente 
infondate.

Ad esempio perché chiedersi

"should we impose a complete prohibition on this technology or contemplate 
a temporary pause in its development? "

e

"what is the most effective way to create a regulatory framework to oversee its 
application?"

invece di chiedersi più semplicemente

"Why the Hell should we NOT treat LLMs as derivative works of the works they 
derive from?"


Lo stesso bisogno di leggi ad hoc per queste quisquiglie economiche svanirebbe, 
per permetterci di concentrarci sulle norme necessarie a ridurre e contenere il
potere di chi li realizza e mantiene in funzione.


> PS Il dibattito circa l'antropomorfizzazione linguistica di quel che fa la
> macchina è ormai vecchio e stantio. 

ROFTL ! ! !  :-D

Ma se è appena cominciato!


> Ci siano accordati nel dire che la
> macchina "genera" e viene "istruita" tramite processi di machine learning,

Ehm... non so da quanto ti occupi della materia ma queste tecniche di 
programmazione
statistica hanno cambiato nome diverse volte negli ultimi venti anni.

Ricerca Operativa, Data Mining, Business Intelligence, Artificial Intelligence,
Machine Learning...

La ciccia è più o meno sempre la stessa.
Cambia sostanzialmente solo la disponibilità di potenza di calcolo e dati da 
elaborre.


Tuttavia MAI la loro denominazione è stata oggetto di un dibattito pubblico 
informato:
si è sempre trattato di buzzword commerciali, sostituite quando perdevano di 
efficacia...
o sparandola più grossa o riesumando evergreen.
Chi non ne capisce il funzionamento se le beve, gli altri se la ridono (o ne 
approfittano).


Dunque non ci siamo affatto "messi d'accordo".

Il fatto che tu lo creda è un'altro effetto dell'egemonia culturale di chi 
controlla
il dibattito in merito (controllo individuale e collettivo).


Spero dunque di averti chiarito il senso della mia risposta.

Un invito ad uno studio approfondito dell'informatica e della sua storia
per non soccombere alle sirene commerciali, pur tenendo loro testa come Ulisse.


A presto!


Giacomo
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