On 15/01/23 15:14, Giacomo Tesio wrote:
On Sat, 14 Jan 2023 21:12:37 +0100 Michele Pinassi wrote:

A questo punto, se la situazione è questa (e purtroppo non ho
difficoltà a immaginare che sia proprio così), meglio non fare
niente: si risparmia tempo, denaro e si evita di illudere che
qualcosa possa migliorare in una ottica "sana": ciò che accadrà sarà
semplicemente ciò che deve accadere, deciso altrove da altri.


Chi non fa niente deve sopportare, come studioso (*), la discrasia fra ciò che scrive e ciò che fa,(**) disconoscendo nei fatti il valore di ciò che dice. Possiamo - io lo sono - essere pessimisti sulla nostra possibilità di influenzare il mondo fuori di noi, ma qui si tratta del senso che diamo a noi stessi. E in questa seconda prospettiva protestare e fallire parzialmente è molto diverso dal non protestare affatto e fallire integralmente.
Buonanotte,
MCP


(*) Anche e soprattutto in senso non "accademico". Chi lavora all'università non è valutato per quello che dice, ma per dove lo dice. (**) Un esempio di questo si trova nel libro di K. Fitzpatrick "Generous Thinking", a proposito degli umanisti che criticano come studiosi l'individualismo competitivo (https://generousthinking.hcommons.org/1-introduction/critique-and-competition/) ma lo adottano senza riserve nel loro comportamento professionale.

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