Date: Fri, 14 Mar 2025 14:00:01 +0000
From: Stefano Borroni Barale <s.bar...@erentil.net>
To: "J.C. DE MARTIN" <juancarlos.demar...@polito.it>
Cc: nexa@server-nexa.polito.it
Subject: Re: [nexa] Petizione: "Registro elettronico: vogliamo una
piattaforma pubblica per le scuole"
Message-ID:
<LuzcRGwHFrivwQnQVzGQ6KgffvaQDTHtVk9ANUprJEj4qCer1SJmkyfjg-KdYZIPSBVz0PxDakUcxEcY27JnMrh1-FTSVB4qaN_bmWtz_nE=@erentil.net>
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Buongiorno,
curioso che questa discussione sul registro elettronico sia arrivata
alla politica. Ma confortante, per me.
Dieci anni fa intervenimmo al "Capitole du Libre" a Toulouse
https://2015.capitoledulibre.org/: all'epoca ricevemmo forti critiche
perché sostenevamo che fornire infrastrutture autogestite, software
libero, crittografia (oppure no...) ecc. è opera fortemente politica ed
è quindi rilevante esplicitare le proprie convinzioni politiche. Visto
che anche i militari possono avvalersi di software libero, ecc. FLOSS
non equivale ad autogestione, né a Stato liberale o altro. Dipende da
moltissimi fattori.
Ora è diventato ancora più evidente, mi pare.
[TAGLIO]
Questa mia valutazione sostanzialmente positiva dello Stato, infatti, è stata
via via indebolita dalle esperienze di questi anni, e completamente devastata
-per quanto riguarda nello specifico i temi nexiani- da due esperienze:
[TAGLIO]
il resoconto di queste esperienze mi suscita una precisazione, anzi, una
traduzione-riflessione di uno dei termini ricorrenti in questa discussione:
"Stato"
è una cosa lunga. altrimenti mi sarei affidato alla messaggistica
"istantanea" :D
TL;DR :
Lo Stato non è una cosa: è un insieme di modalità di relazionarsi e di
comportarsi. Non è il compimento della civiltà umana, ma una delle tante
possibilità che si è imposta a livello globale; ma non è ineluttabile, e
la memoria del fatto che esistono altre organizzazioni sociotecniche,
storiche e attuali, è cruciale per immaginare e fare diversamente.
Perché anche le libertà sono modalità relazionali.
--- VERSIONE LUNGA ---
"Stato"
Ci sono tante definizioni. Il monopolio della violenza legittima, su un
certo territorio, ecc ecc: definizioni anche assai contraddittorie e
confuse.
Dimostrazione forse che non c'è accordo su cosa sia. Tutti ne parlano.
Ma cos'è, lo Stato, che dovremmo "influenzare"?
A mio avviso aiuta un'osservazione del misconosciuto Gustav Landauer,
massacrato nel 1919 durante la repressione dei consigli di Monaco di
Baviera. Martin Buber ha scritto pagine magnifiche sul suo amico
Landauer. Secondo Landauer, la scoperta che gli esseri umani "del nostro
tempo sono il prodotto dei loro rapporti sociali si traduce soprattutto
nella volontà e nell’esigenza di non lasciarsi sottomettere, creando
rapporti di tipo nuovo per la propria esistenza" (p. 154-155, G.
Landauer, la comunità anarchica, eleuthera, 2023).
Questo per me vuol dire che lo Stato è un insieme di modalità
relazionali, di modi di immaginare e di comportarsi fra loro, con il
mondo e con sé stessi (nelle confabulazioni intime e inconsce) da parte
degli esseri umani.
Non c'è una "cosa" che è lo Stato, né una persona, o delle persone; ci
sono invece delle relazioni e dei comportamenti che determinano gli
Stati: che possono essere di vario tipo, che evolvono in continuazione,
mantenendo però dei tratti fondamentali. Questa prospettiva è espressa
magistralmente da Tancredi con l'abusato "che tutto cambi perché nulla
cambi" di gattopardiana memoria. Negli Stati, tutto cambia,
continuamente, ma le modalità relazionali e i comportamenti, no. Semmai
vengono estremizzati, normalizzati, naturalizzati, fatti passare per
ovvi e ineluttabili, da sempre e per sempre: mentre cambiano perché
nulla cambi, cancellando la memoria del passato.
Ad esempio non cambia la gerarchia (binomio obbedienza-comando reiterato
su vasta scala, anche all'interno dell'individuo: auto-repressione,
auto-controllo e auto-governo). La tecnoburocrazia (i "piccoli Eichmann"
dell'apparato di cui scrive Lewis Mumford), altrettanto, è una costante.
C'è un inconscio dello Stato, dell'immaginario dello Stato (cf. Claude
Lefort, Cornelius Castoriadis, ecc.) che si auto-istituisce nei
comportamenti delle persone.
Quindi per me lo Stato siamo noi quando agiamo in un certo modo e ci
relazioniamo con le altre persone (cose, animali, piante, ecc.) in un
certo modo.
La Legge, in effetti, viene dopo: nel senso che, come rilevato da più
parti, attualmente (ma è la regola, non l'eccezione!) lo stato italiano
viola le sue stesse leggi, nonché le leggi che ha approvato tramite
l'Europa (GDPR ecc ecc). Ma lo Stato non sono le Leggi dello Stato, né
il rispetto di quelle leggi è lo Stato: queste sono al massimo
"manifestazioni", ma comunque assai esteriori e in ogni caso possono
essere sospese (stati d'eccezione), negate, violate, cambiate...
Questa "traduzione-riflessione" di una parola così usata non vuole
mettere d'accordo, non m'interessa il consenso; ma auspicare che venga
evitata la reificazione dello Stato in un'entità tanto presente e
persistente quando astratta e impersonale, per cui si finisce per non
intendersi, visto che ogni persona intende cose diverse e attinge a
immaginari differenti. E soprattutto si finisce per considerarsi
impotenti di fronte all'enormità dello Stato.
Inoltre, vuole esplicitare un fatto banale: ragionare in termini di
comportamenti e relazioni (come stiamo già facendo), facilitate e rese
possibili da sistemi tecnici cibernetici, significa senz'altro prendere
le mosse da atteggiamenti individuali; che però sfociano inevitabilmente
in sguardi e pratiche collettive, e dunque politiche. Quando le persone
in una scuola, un'università, una classe decidono di dotarsi di sistemi
tecnici "diversi", di affidarsi a GARR invece che a GAFAM, di farsi un
server invece che servirsi di un server servo di un "public cloud"
(quanta ipocrisia in certe espressioni di marketing!)... i comportamenti
individuali si sostanziano in relazioni "diverse": il corpo collettivo
scolastico, accademico, ecc cambia, anche a livello di autopercezione.
Acquisiscono poteri nuovi e diversi; esercitano diverse libertà (quelle
del FLOSS, per cominciare): anche nel caso della libertà, non è una
cosa: le libertà sono questioni relazionali e comportamentali.
Vorrei poi sostenere, con Polanyi (La Grande Trasformazione), e molti
altri ricercatori, che lo Stato del mercato che si auto-regola NON E'
l'inevitabile frutto di una progressione storica lineare, che dalle
tribù "primitive" agli imperi antichi sfocia nello Stato Moderno.
Più in generale, lo Stato (liberale, socialista, autoritario, ecc ecc)
non è la necessaria espressione della civiltà compiuta, tanto meno lo
Stato del mercato capitalista: questa è una favola mitica che viene
raccontata da molte parti, mettendo d'accordo spesso destre, centri e
sinistre; ma non è corroborata da alcuna "prova" scientifica. è una
storia, e le storie sono storie: cioè si possono raccontare ALTRE storie.
Altre storie significa altre istituzioni. Esistono (sono esistiti, ed
esistono ancora) i comuni; le associazioni, le libere città, le gilde,
le comunità famigliari allargate; i gruppi di affinità; le
organizzazioni religiose; le società di mutuo soccorso; altre
istituzioni territoriali; transnazionali; diffuse; federate; federabili;
libere. Le storie delle popolazioni, anche e soprattutto extraeuropee,
sono colme di esempi di ALTRE storie che non sono lo Stato. cf James C.
Scott & C. Varietà istituzionale, non monocultura dello Stato (guarda
caso gli Stati riconoscono solo altri Stati come "legittimi"
interlocutori...)
Queste altre istituzioni possibili, come lo Stato, sono modalità
relazionali, modi di comportarsi delle persone che li sostanziano. Non
sono entità astratte; non sono "cose", non sono "leggi", né persone
specifiche che le rappresentano: per quanto possano "esprimersi" e
"incarnarsi" in cose/persone/leggi: ma sono sempre percezioni
transitorie, come lo Zeitgeist a cavallo - Napoleone che entra a Jena,
per il vecchio Hegel... che inganno!
Infine, ed è il corollario delle due osservazioni precedenti, preservare
e raccontare la memoria di ciò che è esistito (es. modalità di
organizzare tecnicamente un'istituzione, un gruppo, un incontro; di fare
ricerca, di condividere informazioni, di comunicare, ecc.) è
fondamentale per non contribuire alla distruzione continua della memoria
in un presente che si presenta come ineluttabile.
Oggi è il presente dei social media presentato come orizzonte
ineluttabile, della guerra spacciata per ineluttabile, dell'IA orizzonte
ineluttabile, della Tecnica ineluttabile, una Tecnica "necessariamente"
proprietaria, centralizzata gerarchicamente, "regolamentata" sul
"mercato" da burocrazie kafkiane auto-contraddittorie che si espandono
senza posa (anch'esse sono modalità relazionali, modi di comportarsi:
per questo quando i burocrati vogliono le cose "funzionano": perché si
comportano diversamente...)
buona giornata
k.
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