On 27/03/23 10:48, Giuseppe Attardi wrote:

"the new A.I. capacities will again be used to gain profit and power, even if it inadvertently destroys the foundations of our society.”

Corretto, ma quali siano le situazioni in cui verranno impiegati dipenderà dai fini di coloro che le usano, che NON sono l'AI stessa, ma sono banalissime aziende tecnologiche votate al profitto, guidate da banalissime persone umane.
Il problem siamo NOI umani e non la tecnologia.

La tecnologia viene antropizzata, affidandole capacità di volere ("AI is seizing the master key”), penoso per un filosofo fare questo tipo di confusione:

“[AI] can now hack and manipulate the operating system of civilization. ."


Credo che Harari, disciplinarmente, si presenti come storico e non come studioso di filosofia, per quel che conta.

Sul rapporto fra le tecnologia e gli esseri umani forse vale però ancora la pena citare qualcuno che conosceva ciò di cui parlava, Joseph Weizenbaum, che in "Computer Power and Human Reason", ch. I pp. 37-38 (1976) scriveva:

"Similarly, a highway permits people to travel between the geographical
centers it connects, but, because of the side effects that it and other
factors synergistically engender, it imprisons poor people in inner
cities as effectively as if the cities were walled in. The
mass-communication media are sometimes said to have reduced the earth to a global village and to have enabled national and even global town
meetings. But, in contrast to the traditional New England town
meeting which was—and remains so in my home town—an exercise in participatory politics, the mass media permit essentially no talking
back. Like highways and automobiles, ***they enable the society to
articulate entirely new forms of social action, but at the same time
they irreversibly disable formerly available modes of social behavior***."

Come le autostrade i computer, proseguiva Weizenbaum, fanno qualcosa di simile. Introducono nuove possibilità, e allo stesso tempo ne escludono altre:

"a computing system that permits the asking of only certain kinds of questions, that accepts only certain kinds of "data," and that cannot even in principle be understood by those who rely on it, such a computing system has effectively closed many doors that were open before it was installed."

Questo, naturalmente, non implica che la tecnologia prenda decisioni e le si possa imputare una responsabilità morale. Implica, però, che esseri finiti che fanno scelte tecnologiche o subiscono quelle altrui, in un mondo finito, producono ambienti che incorporano in sé delle decisioni e delle linee di condotta, creando e distruggendo possibilità d'azione. Idealmente, il problema siamo noi umani e le nostre scelte. Pragmaticamente, però, in quanto le scelte passate determinano strutture e infrastrutture, per chi viene dopo il problema è anche la tecnologia "vigente" con cui si trova ad avere a che fare: una tecnologia che incorpora una sua politica, talvolta perfino contro la volontà consapevole di chi l'ha progettata e messa in atto - come ebbe a rendersi conto lo stesso Weizenbaum con la sua ELIZA.

Stando così le cose, forse non è ozioso chiedersi:

- quali possibilità d'azione offrono in più i SALAMI?
- a chi lo offrono?
- quali possibilità invece precludono?
- a chi le precludono?
- chi e perché è interessato a usarle e a farle usare?
- le conseguenze che la loro adozione produce sono (facilmente) reversibili o no?

...e così via. Daniela Tafani ha tenuto, su questo tema, un seminario per "Etica digitale" del quale non so se sia già accessibile la registrazione, in cui ha preso le mosse da un articolo solo di poco posteriore al libro di Weizenbaum:

https://cedi.umd.edu/inst-466-do-artifacts-have-politics/

che discute una serie di esempi di tecnologie con politiche incorporate. Alcuni sono ovvi - quali la bomba atomica -, altri meno.

Buona lettura,
MCP









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