Salve a tutti,

mi scuserete se riapro questo thread alla luce di una lettera aperta 
che il giornale dell'Ordine dei Medici della provincia di Cuneo ha
(ri)pubblicato nel suo ultimo numero.

On Wed, 02 Feb 2022 10:46:15 +0100 380° wrote:

> Guido Vetere <vetere.gu...@gmail.com> writes:
> > " Rather, the problem was one of meaning", indeed!  
> 
> semantica, non grammatica :-D

Il problema di significato in questione è molto più profondo di quanto
non si possa misurare da un punto di vista meramente informatico.


L'alienzazione delle persone, ridotte ad utenti/ingranaggi, sta
raggiungendo lentamente anche le professioni più specialistiche.
Ma gli strumenti informatici sono solo un nuovo mezzo per
velocizzare questa alienazione, non sono la causa.


Alienare è una scelta politica, non un effetto collaterale.

E non è mai una scelta obbligata.


```
Perché non permettere ai medici di avere spazi di lavoro consoni,
dignitosi, spazi di riposo doverosi, tutele dovute, significa procurare
quelle che Dean e Talbot chiamano “moral injuries”: “Physicians aren’t
‘burning out.’ They’re suffering from moral injury”.

Perché è facile etichettare come burn-out il consumo fisico e psichico
dei medici: relega a una dimensione individuale, a interventi sul
singolo, una problematica ben più complessa che ha radici strutturali
ben più grandi del singolo medico. [...]

C’è un limite oltre il quale la fatica favorisce e induce l’errore [...]

Lavorare tutti i giorni 10-12 ore, esposti a telefonate continue,
email, SMS, Whatsapp, visite ambulatoriali e domiciliari è etico?

Aumentare il numero massimo di persone che ciascun medico di famiglia
può curare non è un approccio sensato ed efficace: se il fine è dare,
sulla carta, un medico a tutti i cittadini a prescindere dalla qualità
del servizio erogato basterebbe dirlo con franchezza e sincerità,
soprattutto ai cittadini.

E non basterà credere che nuovi sistemi informatici permetteranno una
migliore gestione: questo potrebbe essere utile a gestori di un flusso
dati o a gestori di dinamiche economiche, non a medici che vogliono
vivere una umana ed empatica dimensione professionale.

In tutto questo si inserisce un carico burocratico che rende arido e
freddo il lavoro del medico.

Siamo consapevoli che una parte del lavoro debba necessariamente
comprendere una dimensione burocratico-amministrativa, ma quando il
tempo speso per questa parte supera quello a disposizione per vivere
una vera dimensione clinica, probabilmente qualcosa nel sistema non sta
funzionando.

Se la percezione del proprio essere medico ci porta a sentirci dei
dispensatori di certificati e di prescrizioni (spesso neanche come
prescrittori diretti, ma come ri-prescrittori “obbligati”…), il
malessere professionale cresce davvero molto. 

[...] queste nostre parole non mirano a rivendicazioni economiche.

Quello che chiediamo è di poter avere una dimensione lavorativa più
umana, che ci consenta di vivere una relazione medico-paziente vera e
proficua. In sintesi non chiediamo più soldi, chiediamo una migliore
qualità lavorativa per poter curare meglio le persone.
```

Vi invito a leggere il testo completo di questa lettera aperta
https://web.archive.org/web/20220320112422/https://www.lastampa.it/torino/2022/02/09/news/lettera_aperta_dei_medici_di_famiglia_basta_produttivita_esasperata_e_burocrazia_-2851309/
 

L'autore ha rassegnato le proprie dimissioni come medico di medicina
generale il 5 gennaio 2022. Ma vi assicuro che sono moltissimi i medici
di famiglia che stanno seriamente valutando questa scelta.

Questo malessere è profondo e diffuso.
E non viene rappresentato dagli pseudo-sindacati medici come la FIMGG.

Le conseguenze sono già misurabili, ma esploderanno molto presto, con
l'imminente pensionamento di molti medici di famiglia anziani.


Giacomo
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